“L'uomo contemporaneo soffre, non è appagato, non è felice. Il nostro percorso vuole partire proprio da questo dato. Si tratta di comprendere il motivo di questa comune sofferenza, “comune” nel senso che è molto diffusa, ma anche perché e poco visibile agli occhi distratti della collettività; non è niente di straordinario che colpisce. Tuttavia, se noi facciamo di tutto per tamponare il nostro disagio con gli innumerevoli palliativi che la nostra provvidente e generosa società dei consumi ci offre, non possiamo fare alcun reale passo verso la nostra crescita personale.
L'uomo contemporaneamente soffre perché tradisce il proprio sé.
Ognuno di noi ha da realizzare la propria intima natura, portare al massimo sviluppo possibile le proprie potenzialità. Tuttavia, spesso la nostra vita presenta scarsi elementi di creatività, tradisce le nostre stesse speranze. E allora soffriamo, non può essere altrimenti.
DOVE STO ANDANDO?
La coscienza di questo disagio, di irrequietezza, più o meno sotterranea, che accompagna la mia vita, è una prima scoperta, forse la più importante, perché è l'inizio del risveglio del mio cammino di crescita. C'è qualcosa che non va e adesso ti stai dicendo che la tua esistenza non può continuare a scorrere sui binari di sempre e che è giunto il momento di cambiare rotta. Forse alla tua coscienza si sta affacciando una nutrita serie di interrogativi. Il fatto è che non riesci più a trovare molta soddisfazione nell'indulgere alle abitudini di prima. Forse comincia a sfuggirti il senso di rapporti senza intimità e autenticità, basati solo sulla conversazione anonima e sul facile divertimento, o di rapporti carichi di incomprensione e conflittualità. Forse comincia a sfuggirti il senso di una giornata in cui le ore migliori sono impiegate in un lavoro che non ti dà poi molta soddisfazione, e che ti fa arrivare stanco la sera a casa, nella prospettiva di un coatto zapping televisivo o di una uscita all'ultimo locale di moda. Forse comincia a sfuggirti il senso di una settimana finalizzata allo shopping cittadino, alla cena, alla discoteca o al cinema con gli amici del sabato sera o, se sei fortunato, al week-end sulla neve o al mare. O il senso di una vita lavorativa in funzione dei trenta giorni di ferie estive e del momento in cui, giunto all'età pensionabile, potrai finalmente dedicarti alla cura dei nipotini e ai viaggi organizzati da qualche circolo ricreativo.
Tutto questo nella speranza “di arrivare in salute al gran finale”, come canta Lucio Dalla.
No, la tua coscienza si ribella. Cominci a ripeterti che non è possibile che il senso della tua vita sia tutto qui. No, non può essere una tale fregatura. Che cos'è che non funziona? Questo dubbio invade sempre più la tua mente e, allora, intensifichi le occasioni di svago e di oblio. Vuoi fuggirlo, ma inutilmente; la mappa con la quale finora hai perlustrato la vita, che ti ha indicato che cosa per te è giusto e che cosa è sbagliato, che cosa per te ha senso e che cosa non ne ha, non riesce più a guidarti e ha bisogno di essere aggiornata.
Adesso, ti fermi sempre di più a riflettere. Sono sicuro di sapere che cosa sto cercando? Sono sicuro di conoscere la direzione che ho impresso alla mia vita? Anzi, sono sicuro di aver impresso una direzione, in maniera consapevole, alla mia vita? Sono sicuro di non essere vittima della tirannia della normalità? Cioè di non lasciarmi guidare dai valori del senso comune, dalla pubblica opinione, dalle regole del “sistema” o di qualche gruppo sociale di riferimento?
IL GABBIANO JONATHAN
Il tema dell'evoluzione personale e della “normalità” è affrontato nel libretto di Richard Bach, “Il gabbiano Jonathan Livingston”, una favola adatta sia ai bambini che agli adulti. Questo piccolo gioiello della letteratura contemporanea narra le vicende di un insolito gabbiano e della sua grande passione per il volo. Ma, ovviamente, il gabbiano Jonathan costituisce l'immagine della spinta evolutiva presente in ognuno di noi.
“La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, dal volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov'è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano li, invece, non importava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più di ogni altra cosa al mondo, a Jonathan piaceva librarsi nel cielo” (Richard Bach, op. citata).
Esiste una parte nella tua insondabile intimità che desidera solo librarsi nel cielo. Non ha alcun interesse all'appartamento elegantemente ammobiliato nella zona residenziale della tua città. Non ha alcun interesse all'auto potente sulla quale sfrecciare davanti agli occhi ammirati della gente. Né al look impeccabile e irresistibile, né al senso di ebbrezza che deriva da una posizione di prestigio. Questa parte di te ha un intima convinzione. “Tutte queste cose non ti procureranno mai la felicità”. Continua a sussurralo al tuo orecchio, nei momenti sempre più frequenti – in cui ti rendi disponibile ad accogliere la sua voce. Magari nei momenti in cui, esteriormente tutto sembra ti vada per il meglio. “Tutte queste cose non ti procureranno mai la felicità”: rimani per un attimo turbato, confuso, e poi ti dai un scrollata, gettandoti di nuovo nel Gran Gioco a Premi della Società. Fino a che, ancora una volta, la solita voce che sussurra: “Tutte queste cose...”.
“Quando il gabbiano Jonathan tornò verso lo stormo, sulla spiaggia, era ormai notte fonda. La testa gli girava, era stanchissimo. Tuttavia, era tanto allegro che compì una gran volta e una fulminea vite orizzontale prima di toccar terra. Quando lo sapranno-pensava- quando sapranno delle nuove prospettive da me aperte, impazziranno di gioia. D'ora in poi vivere qui sarà più vario e interessante. Altro che far la spola tutto il giorno, altro che la monotonia del tram-tram quotidiano sulla scia dei battelli da pesca! Noi avremo una nuova ragione di vita. Ci solleveremo dalle tenebre dell'ignoranza, ci accorgeremo di essere creature di grande intelligenza e abilità. Saremo liberi! Impareremo a volare!.
LE ILLUSIONI, SPESSO, SVANISCONO MOLTO IN FRETTA.
“Il gabbiano Jonathan si porti al centro dell'Emiciclo!” ordinò l'anziano. Il suo tono di voce era quello delle grandi cerimonie. E quell'ordine è sempre foriero o di grande vergogna o di grandi onori. E' lì al centro dell'Emiciclo che, appunto, ai capi gabbiani che più si sono distinti viene reso onore dal Consiglio.
Ma si, penso Jonathan, stamattina mi hanno visto. Tutto lo stormo ha assistito alla mia impresa. Ma io non voglio onori. Non aspiro ad essere un capo. Io desidero solo farli partecipi delle mie scoperte mostrar loro i magnifici orizzonti che ora si sono aperti per noi tutti. E si fece avanti.
“Il gabbiano Jonathan” l'anziano proclamò “viene messo alla gogna e svergognato al cospetto di tutti i suoi simili!”.
Fu come se lo avessero colpito con una randellata. Messo alla gogna? Lui? Ma no, impossibile! E la sua grande impresa? Le nuove prospettive? Non hanno capito niente! C'è un errore! Si sbagliano di grosso!.
“...per la sua temeraria e irresponsabile condotta”, intonava la voce solenne “per esseregli venuto meno alla tradizionale dignità della grande famiglia dei Gabbiani...”
Questo significava ch'egli sarebbe stato espulso dal consorzio dei suoi simili, esiliato, condannato a una vita solitaria laggiù, sulle scogliere Remote....”.
Forse queste parole non ti giungono nuove. Quante volte, nella tua vita, hai cercato inutilmente di comunicare la tua insoddisfazione per un'esistenza banale e ripetitiva! Quante volte hai ricevuto in cambio sorrisi di schermo, ammonimenti paternalistici, inviti al buon senso, magari anche dalle persone che più ritenevi vicine a te, con le quali hai condiviso momenti e interessi significativi! Quante volte hai ricevuto ostilità e quante un assenso distratto e superficiale, forse peggiore della prima! E ti sei trovato solo, solo con le tue speranze e con le tue incertezze, con la tua fiducia e le tue paure. Proprio come Jonathan. Solo all'interno del tuo gruppo di amicizie. Solo nel tuo ambiente di lavoro. Solo perfino tra i tuoi famigliari. Respinto nell'impotenza e nella incomunicabilità. E, magari, ti sei sentito anche in colpa per via di un certo distacco che ti ha portato ad allentare relazioni da tempo consolidate....
CRITICA DELLA “NORMALITA'”
Il cammino di crescita personale implica sempre lo scontrarsi con la tirannia della normalità. Un punto fermo all'interno di ogni psicologia umanistica o esistenziale è la netta distinzione tra “normalità” e “salute”. L'individuo “normale” può essere paragonato ad un malato che non sa di essere tale, in quanto soggetto ad una nevrosi collettiva, cosi diffusa da sembrare, appunto, “normale”. Questa nevrosi collettiva tiene imprigionato l'uomo ad una esistenza non creativa, inautentica. Carl Gustav Jung, per molti anni amico ed estimatore di Assagioli, è drastico:
“Essere “normale” costituisce uno splendido ideale per il fallito, per tutti coloro che sono ancora disadattati. Ma per chi ha un talento assai superiore al normale, per coloro ai quali non è mai stato difficile raggiungere il successo e compiere la propria parte del lavoro del mondo, per questi, la restrizione della normalità è un letto di Procuste, una noia insopportabile, è sterilità e disperazioni infernali. Come conseguenza ci sono molte persone che diventano nevrotiche perché sono solo normali, così come ce ne sono altre che sono nevrotiche perché non riescono a diventare normali”.
Tratto da: “Iniziazone alla Psicosintesi. Conosci, possiedi, trasforma te stesso”, 2005, Aut. Fabio Guidi, Ed. Mediterranee.